CHOPIN, LA STANZA ACCANTO

CHOPIN, LA STANZA ACCANTO

Concerto/spettacolo con
CINZIA BARTOLI, ENRICO BONAVERA


Nel castello di Nohant il periodo del soggiorno estivo si è concluso. Le valigie sono già pronte per il ritorno a Parigi. Il Barone Maurice Dudevant, – appassionato all’arte quanto alla natura – ne è il proprietario; è stato sorpreso nottetempo, dall’arrivo anticipato degli “Inquilini invernali”. È il figlio di Aurore Dupain, al secolo George Sand, già amante e compagna del famoso artista Frederic Chopin.
Mentre egli illustra ai nuovi arrivati i diversi ambienti della villa, il pianoforte dell’Ospite Perpetuo – Frederic Chopin – non si interrompe mai. Ma non era deceduto anni prima? Il tempo è passato, ma i preziosi arabeschi delle sue note musicali, come argentee ragnatele, hanno ormai “impregnato“ gli ambienti e i muri della casa.
Evocati dalla musica escono dai bagagli, in attesa di essere chiusi, i ricordi e le immagini fantasmatiche del mondo di Maurice, di sua madre Aurore/George, di Chopin. È l’occasione, imprevista, per una Ricerca del Tempo Perduto e per la speranza di una sua immpossibile permanenza. Amato ed odiato, venerato e detestato, Chopin è diventato il compagno indissolubile e non più irraggiungibile, di una nostalgia senza fine.

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IL VINO E SUO FIGLIO

ENRICO BONAVERA in

IL VINO E SUO FIGLIO

MONOLOGO PER CANTINE, AGRITURISMO, ENOTECHE DI QUALITA’,
E TEATRI ‘ATTREZZATI’

Liberamente tratto da ‘Il Navigatore del Diluvio” di Mario Brelich

ENRICO BONAVERA è oggi l’Arlecchino del ‘Servitore di due padroni’ del Piccolo Teatro di Milano, spettacolo con cui, negli ultimi vent’anni, ha girato praticamente tutto il mondo.

Oltre al virtuosismo nella recitazione con le Maschere della Commedia dell’Arte, Bonavera ha studiato le tecniche di narrazione popolare, sviluppando doti di affabulatore che ha saputo sapientemente coniugare con quelle di mimo ed attore gestuale.

 

In “IL VINO E SUO FIGLIO” protagonista assoluto è – come da titolo – IL VINO, il suo valore ‘mitico e sacro’, la sua paradossale congiunzione tra ‘basso corporeo’ e filosofia del palato e della vita.

Quando un giovane diventa uomo ?

Nella nostra società sono ormai assenti i riti di trasformazione dall’adolescenza all’età adulta, quelli che venivano chiamati ‘riti di iniziazione’; ma il primo bicchiere di vino è ancora oggi testimonianza di una prova di passaggio: il fanciullo passa progressivamente dal latte materno, all’acqua , alla bevanda dei ‘grandi’.

Il monologo, liberamente tratto da un testo scritto nel 1982 da Mario Brelich – ‘Il Navigatore del Diluvio’ – ripercorre, attraverso il racconto di Sem, figlio primogenito, le tappe misteriose della scoperta del vino da parte di Noè e, tramite quello, del suo rapporto strettamente personale con Dio, un Javhè molto complice e ‘umano’.

Attraverso lo sguardo del figlio, seguiamo la progressiva e comica evoluzione del vecchio Patriarca dall’entusiasmo del primo sorso, a una gioiosa ebbrezza, per infine trovarlo trasformato dalle numerose libagioni in una esaltata e danzante preghiera di ringraziamento verso l’Altissimo, per lo scampato pericolo del Diluvio.

Figlio di un ‘vecchio alpino’, anche Bonavera stesso trova lo spazio, in una specie di ‘intervallo comico’, per raccontare la propria personale e prima ‘rivelazione alcoolica’.

Epico, divertente, spirituale (nel senso proprio di ‘spirito/alcool’), “IL VINO E SUO FIGLIO” nasce non solo per uno spazio teatrale ma si propone, in particolare, come un gioioso e felice intrattenimento per agriturismi, enoteche, festivals e rassegne.

E, naturalmente, per ‘fini degustatori’.

  

 
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ARLECCHIN DELL’ONDA

ARLECCHIN DELL’ONDA

Di Enrico Bonavera

Con Enrico Bonavera e Barbara Usai

Maschere di Sarah Sartori
Collaborazione alla regia di Christian Zecca
Allestimento di Luciana Sgravattila maschera del galeotto è di Cesare Guidotti
Direzione artistica di Francesco Origo

La Tradizione della Commedia dell’ Arte vede le Maschere partecipare a molte e diverse storie ed avventure, in tanti diversi Canovacci.

La molteplicità di situazioni ha ispirato, alla fine del XVIII secolo, un grande autore veneziano, Carlo Gozzi, per la creazione delle sue Fiabe Teatrali, in cui i vari Pantalone, Arlecchino, Brighella e compagnia, venivano trasportati, dal natio suolo italico, nei territori di Oriente ed Africa, in un contesto onirico e favolistico.

È da questa libertà di reinvenzione e di ricollocazione del mondo delle maschere che nasce  l’idea di portare quei personaggi in nuove vicende e creare per loro nuovi lazzi e monolooghi, più attinenti al nostro mondo contemporaneo.

In particolare, se esiste una strada aperta al contatto tra diverse popolazioni è proprio il mare Mediterraneo, culla perenne di culture diverse che nel tempo si sono incontrate, scontrate, contaminate e trasformate.

Ecco così che in “ARLECCHIN DELL’ONDA” troviamo un Pantalone mercante di nuovi schiavi, profittatore dei flussi migratori, un Capitan Matamoros che abbandonato il suo cavallo si è imbarcato,  credendosi novello pirata, su un peschereccio, o un Arlecchino che, spinto dalla fame a cercare fortuna a Genova, lavora come scaricatore nel porto e altri ancora.

Ma troviamo soprattutto Carolina e Pulcinella, separati dagli eventi ma ricongiunti da un tragico comune destino.

Tra racconti veri, veritieri o immaginari, musiche antiche e lazzi delle maschere,

“ARLECCHIN DELL’ONDA” si propone come uno spettacolo comico e al tempo stesso commovente, una divertita e amara riflessione sulle radici contraddittorie e le storie della nostra cultura mediterranea.

 
 

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ALICHIN DI MALEBOLGE

ALICHIN DI MALEBOLGE

di e con ENRICO BONAVERA
Regia di Christian Zecca

 

 

 

Lo spettacolo è stato creato per il festival Dante2021, nell’ ambito delle annuali Celebrazioni Dantesche a Ravenna. Si tratta di un monologo.

Chi parla ed agisce è Alichino, un diavolo dei Malebranche che, inseguendo Dante e Virgilio, a suo dire colpevoli di aver fatto cadere lui e il suo compagno Calcabrina nella pece bollente, finisce fuori dall’ Inferno e si perde nel mondo dei vivi.

Racconta così le sue peripezie, che l’hanno visto per otto secoli accompagnarsi a compagnie di teatranti vagabondi e reincarnarsi di volta in volta negli interpreti della maschera di Arlecchino.

Ora è finalmente tornato a Malebolge, grazie ad una seduta spiritica, ma ai ‘reduci’ il ritorno a casa riserva sempre molte sorprese. Molte cose sono cambiate.

Anche l’ Inferno non è più quello di una volta.

Dove sono finiti i Dannati?

Dove quella bella puzza rassicurante?

Dove fiamme e pece?

In un’ora e mezza scoppiettante, in un dialetto falso/lombardo-veneto, Bonavera indossa le vesti di questo ‘povero diavolo’, furioso, ingenuo, stralunato, e pasticcione, divertendosi a giocare con la fantasia nel mondo della Commedia dantesca, in un viaggio esistenziale pieno di avventure paradossali, comicità ma anche di tanta poesia.

Qui un video di presentazione sulla pagina Facebook del Piccolo Teatro di MIlano

 

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OSEI BUDEI FRADEI

OSEI BUDI FRADEI

di e con ENRICO BONAVERA
e con:
Mattia Locchi, fisarmonica
Giacomo Bertazzoni,  sassofono e percussioni
Davide Turolla,  chitarra acustica
maschere di DONATO SARTORI
Stefano Perocco, Cesare Guidotti, Ferdinando Falossi,

 

 

Un piccolo cimitero di campagna, dimenticato nella Pianura.

Lì, insieme al ricordo di frammenti di una parte della mia famiglia, riposano idealmente anche alcune maschere, parenti dello shakespeariano Yorick.

Incorniciati tanto da ricordi di piatti mantovani e dal sogno del cibo del Paese di Cuccagna, quanto dal profumo degli innumerevoli modi di condire la Polenta, alcuni Arlecchini vengono chiamati a raccontare la propria morte.

Morti trasfigurate e paradossali: chi per troppo cibo, chi per fame, chi per paura, chi in piena attività amorosa, chi ancora annegato su un barcone sul Po, mentre era diretto a Venezia.

Dalle loro parole, dai loro suoni ‘masticatori’, è rievocato un mondo padano che, ingoiato da impianti industriali, strade e cemento, ormai più ancora che dalla nebbia, sta via via perdendo la sua identità e la sua storia.

Per questo viaggio, tragicomico e un poco lugubre, ho scelto come compagne, a me attore/narratore, le poesie in dialetto di Cesare Zavattini, una delle figure significative del nostro ‘ 900, mai abbastanza ricordato, a cui dobbiamo straordinari soggetti e sceneggiature del nostro cinema del secolo scorso.

Ma OSEI BUDEI FRADEI è anche la risposta ad una sfida: oltre alla sua presenza nelle farse della Commedia dell’ Arte e nelle commedie di Carlo Goldoni, Arlecchino ha ancora qualcosa da raccontare a noi del terzo millennio? la sua umanità archetipica può essere ancora a noi contemporanea?

‘O vést an funeral acsé puvrét
c’ an ghéra gnanc’ al mort
dentr’ in dla cassa.
La gent adré i sigava.
A sigava anca mé
Senza savé al parché
in mes a la fumana.

Alvé la man ch in s’ grata mai i coiòn.
Me am capit’ in promavera s’a m’ inochi a vardà
Li palpogni ca sbat cuntra i lampion.

Li bali ad me nonu Giuvanardi
Li m’ acurdava coli
Dal tor di Bos chi fumava in dla stala.
Nud cum l’ urinal in man
L’ era cme quand
A piov in sna lamér,
l’ an finiva mai,
po’ cman sufiòn smuzada la candela
al runfava proma ca sparés
l’ udur dla sera.

(Cesare Zavattini)

 

 

 

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L’AFFAIRE PICPUS

L’AFFAIRE PICPUS

La Quinta Praticabile presenta: Enrico Bonavera in L’Affaire Picpus
Liberamente ispirato al racconto: il Naso di N. Gogol
Di Enrico Bonavera e Christian Zecca
Luci e fonica: Pietro Striano
La marionetta è di: Daniele De Bernardi
Maschere: Cesare Guidotti
Scene e costumi: ZEBO, Neva Viale
Progetto grafico: Francesco Lepore
Organizzazione: Andrea Scarel
Regia: Christian Zecca

“L’ AFFAIRE PICPUS” è il frutto dell’ incontro tra Christian Zecca ed Enrico Bonavera.

Per strade e biografie del tutto diverse, capita, ed è cosa rara, di condividere improvvisamente una direzione e scoprire affinità che aspettano solo di trovare confronto concreto in un progetto.

Quando abbiamo pensato di riprendere il discorso interrotto nel precedente “NASO ALL’ARIA”, spettacolo del solo Bonavera del 1998, sapevamo con chiarezza che questa nuova creazione doveva possedere due caratteristiche:  essere un recital di Enrico – con nasi posticci al posto della maschere di cui è noto e affermato interprete –  e nello stesso tempo la messa in scena di una storia che avesse per tema il ‘Naso’ come archetipo, come simbolo della individuazione della persona.

Volevamo anche che il lavoro fosse surreale e patafisico, drammaturgicamente libero e un po’ ‘scellerato’: in qualche modo desse libero corso alle nostre associazioni mentali e al nostro divertimento.

Inizialmente siamo partiti da un riferimento preciso : “il NASO”, racconto di N. Gogol dalla raccolta ‘I Racconti di Pietroburgo’ e, un po’ in soggezione, abbiamo cercato di restare fedeli al suo assunto.

Poi, insoddisfatti  dalla nostra ingiustificata cautela e dubbiosi sul finale proposto dall’ autore russo, abbiamo finalmente deciso di seguire il nostro ‘istinto’  e proseguire la storia liberamente portandola alle sue estreme conseguenze fantastiche, lasciandoci a quel punto ispirare dagli altrettanto beneamati Bulgakov e Kafka.

Mai avremmo immaginato che, volendo emanciparci dal contesto russo e cambiando nome al protagonista – qui chiamato Picpus con una scelta del tutto ‘automatica’ e non ragionata – avremmo incontrato tanti riferimenti alla cultura francese e alla sua storia.

Picpus infatti, esisteva già : è la misteriosa persona che firma, in un noto romanzo di Simenon della serie Maigret, il biglietto lasciato sopra il corpo senza vita di una chiromante.

Ma Picpus è anche il nome di una via parigina dove si trova l’ unico omonimo cimitero in cui vennero tumulate più di mille salme – di cui solo un centinaio davvero ritrovate – decapitate durante il Periodo del Terrore della Rivoluzione Francese. Tra questi il poeta Andrè Chenier.

E il convento limitrofo è citato da  M. Foucault nel suo saggio “Storia della Follia nell’ età classica”, come uno degli ospedali in cui erano ospitati alcune persone dementi.

In effetti lo spettacolo è la storia di una separazione – di una ‘scissione’ – di cui Picpus è vittima.

La storia di Picpus è  quella di un uomo mediocre,  in  qualche modo sconosciuto, il cui naso sparisce e non intende tornare, nonostante egli si prodighi in ricerche affannose e tentativi di riconciliazione.   Quel naso,  che ha acquistato vita propria, si afferma nel mondo con tutte quelle qualità di cui Picpus è privo o di cui dentro di sé aveva sempre rimosso l’esistenza.

Il Naso, in preda ad una costante e imbarazzante euforia, darà la scalata al potere, andrà alla conquista del mondo intero, come una entità /idea pensiero, che una volta creata condiziona la vita stessa delle persone,  che non hanno a quel punto altra possibilità che venirne implicati.

Una scelta determinante per la ‘macchina teatrale’ è stata quella di non mettere in scena il protagonista della storia, ma fare dei personaggi che girano intorno a lui, i veri protagonisti, accompagnati, nel loro manifestarsi, da un Narratore dalla ambigua identità.

Comicità e delirio vanno a costituire uno spettacolo di un’ ora un quarto, in cui  Bonavera si cimenta in 13 diversi personaggi con altrettanti nasi, in un tourbillon di esilaranti quanto inquietanti caratterizzazioni, scivolando con leggerezza sul filo rosso di una follia che porta ad un finale escatologico e a sorpresa.

 

 

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I SEGRETI DI ARLECCHINO

I SEGRETI DI ARLECCHINO

Di e con: ENRICO BONAVERA

Maschere: Amleto e Donato Sartori

Costumi: Alessandro Osemont, Valeria Campo

Luci: Pietro Striano

 

 

“I SEGRETI DI ARLECCHINO” dopo dodici anni di vita, è diventato ormai un ‘cult’.

Nato quasi per caso, con la volontà di presentare la Maschera e la Commedia in un modo non consueto, accostando scene tradizionali strutturate a una affabulazione a braccio’, si è trasformato a poco a poco in un affresco di alcune figure storiche della Commedia all’ Improvviso, attori che, ormai dimenticati, sono però stati le grandi ‘stars’ di quella gloriosa epopea del teatro.

La presentazione di brani classici dei personaggi di Zanni, Pantalone, Dottore, Capitano, Arlecchino, si alterna ad aneddoti, brevi sketches, a momenti di racconto, improvvisazione, e ‘svelamento’ di alcuni ‘segreti’ dell’ arte dell’ attore in maschera.

“I SEGRETI DI ARLECCHINO” ha, e continua ad avere, una circuitazione basata essenzialmente sul ‘passaparola’, e quindi trova vita nell ‘incontro e nell‘autentico gradimento del pubblico, con il quale l’attore ha spesso un rapporto diretto in scena.

Con il solo ausilio di un baule e di una sedia come scenografia, e delle splendide maschere di Amleto e Donato Sartori, lo spettacolo può essere allestito in qualsiasi teatro con la massima agilità.

Ecco perché ha visitato il teatro più piccolo del mondo – il teatro Salvini di Pieve di Teco – come il Teatro Biondo di Palermo o il Teatro Carcano di Milano, ed ha trovato sede ideale in teatri storici come il Teatro Bibbiena a Mantova, il Teatro dello Scamozzi a Sabbioneta, il Cortile di Palazzo Rosso a Genova, o l’antico Teatro Sacco di Savona.

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Bolzano – Teatro Gries e Teatro Cristallo
Milano – Teatro Carcano, Sala Tertulliano, Teatro alle Colonne, Teatro dell’Arte, Teatro di Opera
Genova – Teatro Garage, Sala Diana. Palazzo Rosso per Circumnavigando
Torino – Palazzo Carignano
Palermo – Teatro Biondo
Mantova – Palazzo Tè, Teatro Bibbiena
Savona – Teatro Sacco
Pieve di Teco – Teatro Salvini
Imperia – Sala Eutropia, DAMS –
S. Lorenzo al Mare
S. Terenzo (La Spezia)
Borgio Verezzi – Teatro Vittorio Gasmann
Arenzano – Teatro il Sipario Strappato
Brà, Chiaverano, Caluso, Chivasso, Savigliano
Sabbioneta – Teatro dello Scamozzi
Seravezza – Piccolo Teatro della Versilia
Livorno – Teatro delle Commedie
Castelnuovo Magra – Teatrika
Dervio (Lecco)
Ala (Trento)
Modena – Festival delle Province
Brescia – Cut La Stanza , Toscolano Maderno
Bagnolo Mella
Vicenza – Kitchen teatro
Abano Terme
Mogliano Veneto – La Filanda
Sorso e Chiaramonte (Sassari)
Fara Sabina – Teatro Potlach
Poggio Moiano
Andria – Festival del Teatro

CANZONI SENZA TERRA

CANZONI SENZA TERRA

Pasticcio di storie e canzoni
Confezionato da Enrico Bonavera
in collaborazione con Christian Zecca

 

 

A un certo punto uno, un attore, io, si guarda indietro e scopre di essere stato attraversato, negli anni, da tanta musica di scena. E che ad ogni canzone è rimasta appesa una storia.

Così, gli viene il desiderio di condividere storie e canzoni. Molte risate e qualche indimenticabile emozione. Carolina, la piccola fisarmonica, e Dolores, la chitarra spagnola, sanno bene che non sono esattamente un musicista; ma in scena mi è toccato spesso di cantare, suonare e addirittura di mettere insieme qualche ‘grappolo’ di note e parole. Soprattutto sono stato rapito da canzoni cantate da altri e rimaste lì, in aria, sospese, pronte ad essere rubate.

Canzoni senza terra… perché poi un attore prova a mettere radici dappertutto, ma in realtà è come uno zingaro, un emigrante perpetuo, un esule da sè stesso, che vive una inconfessata tragicomica dimensione di eterna melanconia, su cui non si può non sorridere.

Programma:

– Attori, Pirati e nasi rossi (con Carolina)
‘Peixinhos do mar’ (pop. portoghese)
‘Oci Ciornie’(pop. Russo)

– Musica e pansotti (sempre con Carolina)
‘Yankee Doodle’ (pop. Americano)
‘Mele d’inverno’ (pop. Irlandese)
‘Cajun’
‘Valzer per Siglinda’ (Antonio Piazza)

– In ricordo di Nina (minestra asciutta)

– Teatro, canzoni e anni ’70 (con Dolores)
‘Pastiche anni ‘70’
‘Nostalgia andina’

– Chitarra e Commedia (con Dolores)
‘Pensammo ‘a salute’
‘Reginella’
‘Se mi ve fusse arente’ (Chiaramello)
‘El g’ha certe parole’ (Stefano Cattaneo)

– Storia di Carolina e di gente raminga (con Carolina)
‘L’ Inconnu de Limoise’ (Maixhou Heinzen)
‘O Postarish’ (Pop. Zingaro)
‘I bambini giù nel campo’ (Hadjidakis, Maraini, Pasolini)

– Commiato (con Carolina) ‘Mamma mammina’ (rep. de ‘I Gufi’)

Canzoni Senza Terra

Lecco – Riiunione Nazionale Fita
Milano – Regulacontraregulamteatro
Arenzano – Il Sipario Strappato
Milano – LabArca di Anna Bonel

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